Sussurri o Grida – I edizione

Movimenti nel nuovo teatro italiano.

Dal 10 aprile al 29 maggio 1984
Prima rappresentazione

Milano, Hermes, con il  contributo di: Comune di Milano Ripartizione Cultura e Spettacolo, E.T.I. (Ente Teatrale Italiano), Ministero del Turismo e dello Spettacolo

Programma:

  • dal 10 al 15 aprile
    Cuori strappati
    di La Gaia Scienza
  • dal 17 al 20 aprile
    Studio per la gioia di vivere
    di Teatro Studio di Caserta
  • dal 26 al 29 aprile
    Lo spazio della quiete
    di Teatro della Valdoca
  • dal 3 al 6 maggio
    Eneide
    di Krypton
  • dall’8 al 13 maggio
    Baby Budd
    di Marcantonio Graffeo
  • dal 15 al 18 maggio
    La corsa dei mantelli
    di Antonio Syxty, Out Off
  • Action frottèe: atti da spiaggia
    il 19 maggio 1984
    Prima rappresentazione – Milano, Teatro Hermes
    di Luca Majer
    Regia Luca Majer Aurelio Gravina
    con Aurelio Gravina
    Scene e costumi Paola Persiani Lorenzo Parnanzini
    Registrazione video Studio Azzurro
    Suoni Paola Vanzetti Luca Majer
    Studio luci Giuseppe Tabacco
    Produzione Out Off 

    «L’isola dove Aureliano, il protagonista del lavoro, è appena arrivato per una pausa dal lavoro di creativo pubblicitario, è Graciosa, 250 miglia nautiche sud-ovest dalle coste dell’ex-Sahara spagnolo. Sabbia e roccia vulcaniche incise dal vento e circondate da un mare ostile, pericoloso per forza, Graciosa è popolata da qualche centinaio di pescatori di discendenza guancha, in parte spagnoli, mischiati con le popolazioni arabe del continente. Aureliano (fresco del vecchio continente e di lanci promozionali) alloggia in una casa di pescatori e prepara sé stesso ad uno sforzo fisico impellente. Unto il corpo nella profondità con creme grasse Aureliano inizia la sua corsa intorno a Graciosa. Due ore dopo all’imbrunire del 18 settembre 1980 Aureliano è di ritorno al villaggio di Juan Pedro Barba. Stanco si concede il sonno. (…) L’atto del correre (e la predisposizione, e gli effetti della corsa), il correre, danno così il ritmo all’azione, al respiro, senza che per questo essi non vengano svuotati della loro significatività globale, accondiscendendo a cedere spazio ad ancora più nuovi sforzi previsti, “puro valore aggiunto”, senza ritorni immediati».

    Dal programma di sala

    «Lo spettacolo parte dall’idea di unire una trama semplicissima, un’azione “puramente” fisica, cioè la corsa (il cui negativo è riflesso dalla preparazione della prima parte e dal sonno della terza parte), culture diverse (quella spagnola, quella guancha, quella pubblicitaria), un senso profondo, angosciante e necessario del ritmo (dei suoni, del corpo e – quindi — della voce) e offrire la possibilità ad un attore di sfruttare un testo concepito sulla sua figura e non l’elaborazione adattamento di qualcosa già esistente».

    Mario Sculatti da “l’Unità”, 20 maggio 1984

  

  • dal 24 al 29 maggio
    Teatro
    di Remondi & Caporossi
  • dall’11 al 20 aprile
    Teatro e/o Video
    Rassegna di video collegati allo spettacolo teatrale Milano, Cinema Teatro Anteo
    A cura della Videoteca Giaccari di Varese
  • dal 21 maggio al 10 giugn
    Teatrale, Visivo
    Materiali per la scena del nuovo teatro
    Milano, Accademia e Pinacoteca di Brera, Aula Magna Accademia di Belle Arti di Brera.
    A cura di Giorgio Verzotti
  • 19 maggio
    Convegno: Ancora una volta, la nuova arte
    Coordinato da Franco Bolelli
    con Giuseppe Bartolucci e Franco Rella
    Milano, Accademia e Pinacoteca di Brera, Aula Magna Accademia di Belle Arti di Brera

«Non ci possono essere dubbi sull’opportunità di portare a Milano una rassegna che cerca di offrire — con tutti gli inevitabili limiti del caso — una panoramica di quello che per comodità possiamo definire teatro di ricerca o di sperimentazione. Bisognerebbe forse chiedersi perché finora a Milano un certo tipo di spettacolo, magari pigramente catalogato come “avanguardia”, ha trovato lo spazio solo per episodi di successo — vedi i soggiorni dei Magazzini Criminali — e per esperienze marginali e ghettizzate sia dal disinteresse abbastanza colpevole dei mezzi di informazione che dalle carenze del sistema di distribuzione e organizzazione della città. Ma senza perdersi in recriminazioni che almeno questa volta si sperano inutili, Sussurri o grida resta un’occasione unica per verificare dove stia andando un certo tipo di teatro».

Oliviero Ponte di Pino dalla presentazione della rassegna

«Dell’Italia, Milano è forse la città più vivace, la scena su cui il meglio e il peggio vengono a esibirsi, anche se prodotti altrove. Anzi, la città dove il meglio spesso trasmuta in peggio, nel banale, nell’osceno: si pensi ai piccoli imperi di magnificenza e stupidità costruiti attorno alla moda e al design, si pensi all’intreccio municipale di creatività e sottogoverno, alle sofferenze personali alimentate dall’insuccesso o rivestite dal successo, alle patologie che tutti conosciamo insomma di questa città-scena e città-foyer, dove s’è tutti maschere di una nuova Commedia dell’Arte. Di teatro, per esempio, se ne produce poco. Gli sforzi istituzionali sono indirizzati a tenere in piedi strutture in quanto tali, per un artista. Di bello c’è comunque questa domanda caotica, questi fiumi capricciosi di consumi che impongono agli organizzatori dello spettacolo un regime di concorrenza spietata, e di far passare per Milano le produzioni più diverse. Così che alla fine, la città non è solo la “piazza” di una tournée, ma appunto una scena decisiva per gli esiti culturali ed economici».

Antonio Attisani dalla presentazione della rassegna

«Essere assolutamente irrecuperabili a questa realtà, è la questione. Ecco perché con i linguaggi artistici che si adattano a questa realtà e se ne fanno rappresentazione, non è possibile alcuna complicità. E non ci vengano più a dire che è per depotenziarlo e per trasgredirlo, e rimangono in questo stato delle cose: perché è proprio come unità di misura fissa, è proprio nella sua funzione di contenitore neutro che questa realtà esprime il massimo del suo potere dissuasivo. Mettere in scena le cose come sono è davvero il gesto più stupido e rovinoso che l’arte possa compiere con sé stessa. (…) È nel ritorno a un linguaggio magico e mitico, che l’arte può essere ancora necessità di vita. Non solo spettacolo e solo avanguardia, facce complementari della stessa moneta d’ordine. Ma forza naturale, paesaggio interiore, funzione biologica, “grande legge del cuore”. Mettere in scena tutto questo, è davvero il momento».

Franco Bolelli dalla presentazione della rassegna

«Nulla fa pensare a un qualsiasi filo conduttore che non sia da ricercare soltanto nel suo linguaggio in divenire, nella sua ricerca visiva, nelle sue atmosfere trasognate. (…) L’autentica anima, l’insostituibile nucleo vitale di questo allestimento è in realtà l’impianto scenografico elaborato da Alessandro Violi con l’aiuto di un computer: un insieme di pannelli dai colori irreali, dotati di finestrelle, feritoie, passaggi, pertugi, scalette che, combinandosi e scombinandosi fra loro, ruotando, mutando angolazioni e prospettive, determinano uno spazio in continua trasformazione, un variare di paesaggi urbani che si formano uno dall’altro e l’uno nell’altro si dissolvono. Da quei pertugi, da quelle finestrelle entrano ed escono i cinque giovanissimi attori, i cui corpi tracciano figurazioni al limite della danza, soltanto in un paio d’occasioni sorrette dalla parola. (…) In questa sorta di carillon impazzito, ingranaggio di figurine perfettamente funzionanti eppure fondamentalmente schizzoidi, sfuggite al controllo del loro costruttore, vengono immesse invenzioni sceniche a volte di grande fascino visivo: macchine del vento che sconvolgono oggetti e costumi, ombre dissociate dai loro corpi, figure specularmente sdoppiate in curiose prospettive come fossero riflesse nell’acqua, mobili e arredi che prendono inquietantemente vita, e poi enigmatiche presenze fra animali e vegetali, ballerine con assurdi tutù metallici, allucinati abiti di lampadine accese nel buio. Frammenti di una realtà che si ribella alle proprie leggi, crepe che si aprono in una “normalità” che si tinge d’incongruo, ma continua a dipanarsi indifferentemente fingendosi ancora “normale”».
Cuori strappati di La Gaia Scienza-

Renato Palazzi dal “Corriere della sera”, 13 aprile 1984

«Lo spazio della quiete si propone come una ricerca poetica sulla percezione dello spazio e del tempo. “Questo nostro lavoro — dice Mariangela Gualtieri — è nato da una discussione su Euclide e la geometria euclidea. Ma poi poco a poco si è trasformato in uno studio sulla percezione spazio-temporale diversa da quella usuale. Dopo una serie di spettacoli piuttosto difficili e faticosi volevamo crearci un ambito di quiete appunto in cui lavorare sentendoci bene”. Da un desiderio di pace, quindi, è nato questo lavoro del gruppo che però è ricco di tensioni, di sospensione, di attesa in un equilibrio che si potrebbe però rompere da un momento all’altro. (…) “E alla fine la geometria si perde con l’immagine di un grande planetario attraversato da una linea curva, di rosso incandescente, a dare l’idea dello sfondamento, dell’apertura dello spazio scenico, che diventa spazio più vasto, spazio sospeso, senza tempo”».

Mario Sculatti da “l’Unità”, 27 aprile 1984

«In palcoscenico appare un guerriero che potrebbe essere a tratti Enea, una donna che potrebbe essere Didone, una dea che potrebbe essere Venere o Giunone. Il guerriero abbozza gesti d’amore con la donna e di guerra con altre figure di guerrieri. […] Ma i veri protagonisti sono il multivision, sofisticata apparecchiatura che proietta immagini sovrapposte e diffonde un martellante rock su sedici piste sonore e un laser che disegna figure spettrali, sugli impulsi di un cervello elettronico. Le immagini proiettate evocano cieli rossastri, colonne classiche, fiammate d’incendio, ombre di navi nella tempesta, su cui s’inseriscono a volte freddi reticoli geometrici. (…) Lo spettacolo di Cauteruccio è ben costruito, con una scansione attenta e rigorosa e alcune invenzioni visive decisamente affascinanti. (…) È un teatro creato con l’aiuto della macchina e interamente gestito dalle macchine, che a sua volta deve funzionare come una macchina: senza margine per l’intuizione, per l’invenzione del momento, per l’apporto individuale, dunque anche per il mestiere. (…) Non diciamo che questo sia un male. Non diciamo se tutto questo sia peggio o meglio di altre forme di teatro, perché è ancora troppo presto per saperlo. Ci limitiamo a constatarlo, prendendo atto che comunque questi sono strumenti e segni del nostro tempo, e con essi dobbiamo e dovremo misurarci».
Eneide di Kripton-

Renato Palazzi dal “Corriere della Sera”, 5 maggio 1984

«Ancora una volta, la ditta R.& C. sviluppa un tema che appartiene, come i precedenti “Pozzo”, “Branco”, “Antigone”, a un loro mondo rarefatto, ironico e poeticamente fatto di niente, il rigore è però assoluto, il tratto è semplice, l’idea è sempre precisa. Non barano. Si può dissentire o meno dai loro sperimentalismi, nei quali vengono fusi la vocazione alla ricerca di Claudio Remondi e le predilezioni figurative di Riccardo Caporossi, ma è innegabile la loro onestà. Potranno piacere oppure no, è questione di gusti. A noi piacciono, e piacciono al largo pubblico di estimatori, che non perdono un loro spettacolo. Qui, il loro mondo poetico è rivolto con tenerezza al fascino del teatro, ai suoi misteri, agli stupori e agli incantamenti che ne derivano a cominciare dal sipario, emblematico confine tra il sogno e la realtà, tra la finzione e la verità, linea di separazione, irriducibile e invalicabile, tra pubblico e attore: schermo ideale, mentalmente presente, anche quando ne viene soppresso l’uso».

Paolo A. Paganini da “La Notte”, 25 maggio 1984