Un centimetro ogni ottanta battiti

il 21 maggio 1985
Prima rappresentazione Milano, Teatro Litta

di Edoardo Erba e Roberto Traverso

Regia Antonio Syxty
con Carla Chiarelli e Claudio Bisio
Scene Mino Bertoldo
realizzate da Maurizio Costa
Musica originale Juan Hidalgo
eseguite da CARME
Luci Gigi Saccomandi
Produzione Teatro Out Off


« Se quell’uomo arriva in fondo, non saremo più in grado di riprenderlo. La fossa nella quale sta discendendo non è uno scopo preciso. Non è uno scopo finale.(…)La discesa è lenta. Ha un ritmo costante. Noi seguiamo la discesa con apprensione, perché ne siamo consapevoli. (…) Il movimento è verticale. La discesa è lo spostamento di una zona. (Questo non è corretto. Il movimento è verticale Allora si può parlare di strati e non di zone). (…) L’uomo è una sonda.  La discesa è nell’acqua. (…) L’uomo si chiama Claudio ora e si ritrova in una grotta dove incontra Carla. Questa volta il ritmo del suo respiro è diverso, è sconnesso. Così il ritmo del suo pensiero. (…) Carla non è una figura-chiave per Claudio. Il tracciato dei loro pensieri è disuguale e informe. Se dalla grotta venisse una luce camminerebbero in quella (…). Noi dobbiamo vederli uscire per accorgerci che esistono realmente. Così è per loro stessi. Non dovranno fare altro che uscire ».

Dal programma di sala

« II sangue gli scorre sempre più rapido nelle vene, i pensieri vagano confusamente e nella sua mente, i muscoli gli giocano sotto la pelle, gli occhi impazziscono di tensione, brillano nervosi nel buio che lo circonda. Attorno a lui vi è il metallico argento di un sottomarino-trappola ribellatesi ai comandi umani, che va giù sempre più giù, alla velocità di un centimetro al minuto, un centimetro ogni ottanta battiti cardiaci.  La bara d’acciaio lo avvolge, lo stritola, sembra condannarlo a uno stato di delirante allucinazione. Quand’ecco che nel buio sopraggiunge improvviso l’oblìo di quella terrifica condizione, e con l’oblìo la luce. Segno che l’incubo è finalmente terminato. E infatti di lì a poco ritroviamo quello stesso individuo su una spiaggia: salta allegramente da uno scoglio all’altro, mentre chiacchera con una graziosa fanciulla appena conosciuta. I due giocano, parlano, conteplano l’infinito, si provocano, si stuzzicano, si corteggiano: in una parola, si innamorano (…). Il testo dello spettacolo contiene uno straordinario procedimento narrativo che si snoda attraverso folgorazioni repentine e “flashes” che quasi permettono di toccare il fondo inconoscibile della realtà, sia nei momenti di angoscioso abbandono (primo atto), sia in quelli di vitale entusiasmo (secondo e terzo atto). … Un microcosmo evocativo sorretto anche dal fantastico (fantascientifico?) allestimento scenografico fatto di tappeti argentati mollemente ondulati e di particolari oggetti-simbolo, come, ad esempio, una enorme struttura metallica triangolare appesa alla parete, “occhio che tutto vede” e che dunque sovrasta le idee e le azioni dei due protagonisti».                        

Maddalena Traina da “il Giornale”, 26 maggio 1985