Sentieri selvaggi

Azione scenica

il 14 aprile 1978
Prima rappresentazione 

di e con Francesco Dal Bosco e Fabrizio Varesco

«L’epicentro di Sentieri Selvaggi è una camera con pareti di plastica trasparenti, una sorta di stanza acquario-reclusorio, teca museale in cui sono rinchiusi due esseri immobili, sessanta e più minuti di silenzio e di fissità a parte impercettibili spostamenti delle mani e del volto. Una figura in piedi, di spalle, chiusa in un impermeabile; l’altra figura con occhiali scuri seduta a un tavolino apparecchiato, con gli avanzi di una cena, bottiglia, piatto, bicchiere. E le due figure spiccano entro due rettangoli luminosi. (…) Ovunque si rifrange l’avvenimento principale, lo spazio è congelato, gli oggetti ibernati. Solo due voci femminili registrate, un instancabile chiacchiericcio quotidiano indicano lo scorrere del tempo, ma assomigliano a voci lontane ormai irraggiungibili, distaccate dal nostro corpo e dal nostro mondo. In questa scissione tra il nastro magnetico che si svolge e la visione che rimane pietrificata, la percezione della realtà è accresciuta, portata a limiti quasi insopportabili. L’unità è rotta e le cose divengono simulacri di uno spirito sotterraneo e inconoscibile. Una memoria su cui gli eventi si imprimono come su una lastra fotografica. Sentieri selvaggi restituisce lampi di vita».

– Roberto Agostini da “la Repubblica”, 17 aprile 1978