La magia del teatro

l’illusione scenica e la distanza dello spettacolo

Dal 22 gennaio al 13 marzo 1980

Programma:

dal 22 al 25 gennaio
Ritratto di attrice
di B. Bergamasco
con Ulla Alascjarvi

dal 29 al 31 gennaio
Houdini
di Victor Cavallo e Daniela Silverio

dal 5 all’8 febbraio
Goffaggini
di Luciana Sacchetti

dal 12 al 14 febbraio
Diavolo
Meditazione sull’arcano XV dei tarocchi
di Luigi Maria Musati e Romano Rocchi

dal 19 al 21 febbraio
Dodo
Proposta per un libretto di musica lirica
di Corrado Costa
con Roberto Costantini, Antonio Maini, Mario Gruzza, Paolo De Rossi, Giuseppina Liz

dal 26 al 29 febbraio
L’artefice magico
di Paolo Bessegato e Antonio Catania

dal 3 al 7 marzo
Luz
di Giancarlo Schiaffini trombone
Luisa Gay, danza
Musiche di Kagel, G. Scelsi, G. Schiaffini, D. Guaccero, L. Berio

dall’ll al 13 marzo
Il manoscritto trovato nel 4000
di Giles Wright


II tema ampio e affascinante è quello della magia del teatro.  L’illusione,  la fascinazione dello spazio scenico sono riferimenti costanti ma remoti nella maggior parte della produzione contemporanea. La nostalgia di quella presenza tutta particolare che si dà solo sulla scena è per questa manifestazione un punto di riferimento. (…) Estranea ad ogni specialismo La magia del teatro è una  presa diretta con lo spazio “reale” del gioco. Rappresentazioni di attori, mimi, danzatori e musicisti, serate di lettura e incontro di intellettuali e scrittori. (…) All’insegna della magia l’Out Off non propone una linea, gli basta essere teatro di occasioni, luogo di incontro particolare, presenza di azioni e di parola.

Dalla presentazione della rassegna


Il pretesto La magia del teatro. Ecco, rievocando nel titolo il grande mago e illusionista Houdini, una serie di giochi di prestigio non riusciti, anzi appena accennati, dalla carta da indovinare ai tentativi di far scomparire gli oggetti. Poi i trucchi, l’atmosfera, il gioco delle luci, tra il segno di una Fedra per il circuito Eti e il copione di questa sera, un quaderno scribacchiato e continuamente consultato. Ma anche un serpente (vero) psicoanaliticamente chiamato Simbolik,  Baudrillard e Puccini, Philip Marlowe e la poesia delle borgate romane, Diabolik e il tifo per la Roma, la crisi esistenziale e Warhol, gli indiani metropolitani. È l’angoscia del consumatore per il quale tutta questa merce culturale e spettacolare, totalmente inutile, è diventata indispensabile come la bottiglia di porto che Victor Cavallo si scola in scena. […]. Protagonista di questo meccanismo di produzione è Cavallo, con la sua ironia elaborata e senza speranza, che perde il filo delle battute inanellate a mezza voce, per ritrovarlo prendendo spunto dagli attrezzi di una scena povera, da una serie infinita e casuale di oggetti.

Oliviero Ponte di Pino da “il Manifesto “, 31 gennaio 1980


“Lo scopo — ha sottolineato la Gay — è di raccontare delle favole cogliendo il nucleo delle emozioni implicite nella musica e trasmettendole col movimento”. Con l’ausilio di luci bianche e rosse e di un nastro preregistrato per il pezzo di Kagel, la danzatrice-coreografa ha costruito figurazioni avvincenti e di sofisticata eleganza, alle quali lo stesso Schiaffini ha dato un’ampia collaborazione gestuale. La Gay unisce a un corpo agile e armonioso uno sguardo intenso e un volto incavato,quel tanto che basta perché la luce vi crei giochi suggestivi e significanti di ombre. (…) Per tutta la durata dell’azione si è stabilito un clima magico e incantato, che ha toccato il culmine in una favola lunare ben ideata e perfettamente eseguita sui pezzi di Scelsi. Ma al cronista musicale preme di porre in risalto, oltre alla vena inesauribile di Schiaffini solista di avanguardia, jazzista e musicista “creativo”, un altro punto di grande importanza. Questi brani contemporanei, come tanti altri, non brillano per emotività e immediatezza a largo raggio, e tuttavia l’iniziativa di Luisa Gay gli offre una nuova dimensione di leggibilità. È un’idea per la ricerca della comunicazione perduta.

Franco Fayenz da “il Giornale”, 8 marzo 1980


4000 watt per illuminare a giorno il vecchio stabile dell’Out Off. Oltre la violenta barriera luminosa dei riflettori si scende nella sala, resa assolutamente spoglia di sedie e tavoli. Tutte le luci del locale, comprese quelle della toilette, si accendono e si spengono alla frequenza di mezzo secondo, un sibilo a ventimila hertz e mezzo litro di ammoniaca rovesciato per terra completano l’attentato ai sensi. Interrata al centro della sala, una lapide di marmo con una iscrizione: II manoscritto trovato nel 4000. È la performance di Giles Wright. Per 75 minuti non succede altro, varia solo la durata del buio che, progressivamente, aumenta fino a 30 secondi per ogni mezzo secondo di luce. Nell’immaginaria cassetta d’acciaio murata nel locale si suppone ci sia una memoria elettronica con un milione di unità d’informazione. Un timer incorporato regola l’apertura automatica del contenitore per l’anno 4000. “Luce e buio creano una struttura a incastro dove il trascorrere del tempo non è più lineare ma concentrico”, dice Giles Wright. “Il tempo soggettivo si smonta ed è trasformato in tempo reale”. Evoluzione della tecnologia e distruzione dell’individuo emergono dal ticchettare dei relais e del cupo ronzio degli altoparlanti.

Enrico Parodi da “la Repubblica”, 14 marzo 1980


L’intervento più radicale è venuto da Mario Spinella, nel dibattito conclusivo del ciclo su La magia del teatro. Spinella, ironico, autocritico, ha parlato del teatro tradizionale come intrusione di segni specifici e diversi nel rapporto tra il testo scritto e il suo godimento da parte dello spettatore. Il teatro come “traduzione” dallo scritto al detto secondo un codice di valori basati su segni come la voce, il gesto, la presentazioni, il rapporto con gli spettatori. “Tutto questo”, ha detto Spinella, “lo vivo come intermediazione nel rapporto tra me e la scrittura”. Il dibattito è stato aperto da Tomaso Kemeny che ha letto alcune sue poesie. Kemeny ha preso spunto da questi suoi lavori per parlare del problema della forma come strumento d’azione sul contenuto stesso, in teatro come in poesia. Romana Rutelli aveva letto poi un testo frutto di ricerche sulla comunicazione teatrale, concluse con la messa in scena dell’Amleto di Gabriele Lavia. Gianni Emilio Simonetti ha parlato di morte del  teatro come impossibilità per il teatro moderno di essere luogo di rappresentazione dove i soggetti sono perdonati perché non sono sé stessi. Solo nel teatro greco pagano e in quello elisabettiano vi era la capacità di insegnare agli uomini la vita e la morte. Ultimo intervento quello di Ermanno Krumm. Relazione tutta incentrata su Antonin Artaud, sul suo teatro che “parte dal soffio e si appoggia sul tempo e sul gesto”. Nel teatro di Artaud, dice Krumm, al movimento del corpo si affianca l’ancoramento della lettera. L’incorporazione della parola è totale e la voce diviene lo stile del corpo. Nella luce magica della scena il corpo dell’attore parla allo spettatore protagonista del teatro di Artaud: del suo fantasma, del suo muoversi interiore.

Filippo Ravizza da “la Repubblica”, 20 marzo 1980