Empty Words

conferenza stampa per il concerto di John Cage

1 dicembre 1977

con John Cage

«Sono quasi vent’anni che vedo fischiare John Cage (…) I pochi che lo applaudivano erano invece, per una grossa quota, quelli che fanno qualcosa perché pensano che si debba farla; per una più magra quota, quei musicisti e quegli ascoltatori che erano grati a Cage per il lieve soffio esilarante e dissolutore che aveva saputo far circolare fra i suoni. Non lo applaudivano dunque soltanto (o in primo luogo) come compositore. Cage, infatti, è innanzitutto un inventore (come seppe vedere il suo maestro Arnold Schoenberg). E la sua invenzione specifica è stata quella di introdurre discretamente, infantilmente, un po’ di Vuoto nella musica, e perciò nella nostra vita. Ora, quel Vuoto ha per noi tutti una funzione salutare, come una zaffata d’aria per un asfittico. Perché una delle malattie più gravi di cui soffriamo è quella del Pieno. (…) Questa pacata proposta può facilmente provocare reazioni violente, perché al proprio Pieno molti sono pateticamente incollati (altrimenti — temono con ragione— non saprebbero a cosa appigliarsi). Perciò, credo, Cage è tanto spesso fischiato. Ma la dimostrazione perfetta, paradossale, e forse insuperabile, di questo meccanismo l’ho vista solo ora, al recente concerto di Cage al Lirico di Milano. (…) Un pubblico di forse duemila persone, per lo più giovane, fra i 15 e i 30, anni si era accalcato per sentire questo nome leggendariamente “critico” e “alternativo”. Ma di lui non dovevano sapere, o aver capito, molto più del nome. Infatti dopo pochi minuti, la serata si è trasformata in uno psicodramma galoppante, che aveva come suo oggetto taciuto la voglia di pestare di botte l’illustre musicista. Cage, solo sulla scena, attento e concentrato in un’incongrua lettura di sillabe, è riuscito a provocare un black-out per due ore e mezzo su duemila ascoltatori, li ha fatti rivelare a se stessi come nessuno psicoanalista, come nessun pedagogo politico saprebbe mai. Se volevano tanto esprimersi, bisogna dire — ahimè — che si sono espressi. (…) A un certo punto un gruppo di una decina di ragazzi si è addensato intorno a Cage. Uno ha tentato di bendarlo con una fascia nera. (…) Era il gesto simbolico del pestaggio. Non lo hanno pestato perché Cage — anche a pochi centimetri — nella sua inflessibile quiete ha continuato ad agire come l’Angelo Sterminatore. Ma i gesti simbolici, si sa, significano sempre un po’ più dei fatti. Alla fine del pezzo, Cage si è alzato dalla sedia, si è inchinato al pubblico e ha abbracciato sorridendo — con il suo mirabile sorriso vuoto — i due ragazzi che si trovavano più vicino. Poi è uscito fra lo scrosciare degli applausi dei molti che lo avevano ingiuriato e dei pochi che gli erano grati per avere provocato questo piccolo atroce gioco della verità ».

Roberto Calasso da “Panorama”, dicembre 1977.