Canti illuminati

Per voce, pianoforte da bambino, sintetizzatore e cetra

il 3 febbraio 1978
Prima rappresentazione

di Alvin Curran«Le due performance tenute da Alvin Curran sono partite dal presupposto di considerare il locale come un unico ambiente acustico, provvisto di ostacoli e accidenti casuali, oltre che architettonici. Un luogo in cui giocare con gli echi e con gli effetti delle interferenze sonore, quindi, e non uno spazio in cui la musica, il rumore e il messaggio possono fluire semplici e diretti. Alvin non è nuovo  a esperienze del genere: fondatore, nel ’66, del gruppo Musica Elettronica Viva, insieme con Frederic Rzewski e Richard Teitelbaum, da ormai quattro anni si dedica alla composizione e alla performance in perfetta solitudine. (…) Qui esegue Canti illuminati, una sua composizione del ’75. Inizia soffiando a pieni polmoni in una conchiglia marina, contrappuntato dal fluire dei rumori della vita di tutti i giorni preregistrati su nastro magnetico: sferragliare di treni in corsa, canto d’uccelli, scorrere di acque, fragori e rimbombi di macchine al massimo dell’efficienza. Alvin scende gli scalini con passo ieratico, la lentezza dei suoi movimenti è tragica ed esasperante, la concentrazione ai limiti della sopportabilità: poi si siede al tavolo, e comincia ad armeggiare sugli altri strumenti: un sintetizzatore, una cetra, un pianoforte per bambini, e modula la sua voce in unisoni, tersi e tesissimi, inventa dialoghi fra semplici linee melodiche in contrappunto con se stesse e con i suoni della natura. La musica assume cadenze da danza sacra giapponese, le iterazioni si susseguono lentissime e brevissime al tempo stesso, ma non sono mai ipnotiche né consolatorie. (…)Si giunge così, dopo oltre un’ora, alla chiusura deliziosa e delicatissima. Alvin improvvisa, sul suo pianoforte giocattolo, uno standard quasi-jazzistico tenendo come base lo sciacquìo di remi agitati nell’acqua. Anche in questo caso l’espressività prevale sulla tecnica, il rapporto con lo strumento sulla pulizia del suono ».

Roberto Gatti da “la Repubblica”, 6 febbraio 1978